Era
un vero dispiacere per lei rischiare di rovinare quelle scarpe basse e strette,
dai tessuti pregiati e dai colori vivaci, tuttavia non poteva esimersi dal
raggiungere quel promontorio almeno una volta al giorno.
Tornò
a guardare quella distesa d’acqua, quella linea che, tiranna, non voleva dargli
pace, non voleva mostrargli quelle ombre che tanto attendeva. Erano passati
ormai più di una ventina di giorni. Molti erano in trepidante attesa; in città
le chiacchiere si moltiplicavano, le dicerie più assurde circolavano. Non
riusciva nemmeno a immaginare quanto fermento potesse esserci per il resto
delle terre imperiali. Non riusciva a comprendere totalmente i discorsi che
riusciva a origliare, ma, dato che perfino suo padre stava divenendo sempre più
inquieto riguardo quell’accordo di pace che presto, forse, si sarebbe potuto
raggiungere, aveva capito che la sua attesa non sarebbe durata ancora a lungo.
Dovette coprirsi il
volto dalla furia del vento. La veste lunga e il soprabito che portava svolazzarono
violentemente. Le due strisce della fascia dai filamenti dorati e azzurrognoli
che aveva intrecciato per i capelli richiamarono il suo sguardo verso la città:
da quella posizione rialzata le era possibile vedere il porto, le periferie più
lontane e distanti, che non aveva mai visitato, e le mura cittadine che, al di
là della sua visuale, finivano per circondare e proteggere anche quel faro e il
suo promontorio. La strada sterrata che aveva continuamente percorso durante
quei giorni declinava, vorticando, verso la spiaggia, costeggiando alcune
costruzioni e fattorie, e da lì, con la mente, sapeva di poter raggiungere la
via principale e così il centro cittadino. Fin da quando era nata, quel luogo
era stata la sua casa e, per quanto fin dalla tenera età, la guerra l’avesse
raggiunta, aveva vissuto in quella città tra le grida, l’animosità, l’allegria
e le festività cittadine. Menpher era antica, così le aveva ripetuto varie
volte suo padre. Le loro tradizioni lo erano altrettanto. Menpher vi era già
prima dell’Impero e non aveva fatto altro che crescere, svilupparsi,
circondarsi di nuovi venuti e nuove dimore.
“Tra
pochi giorni, sorellina mia, capirai quale onore è partecipare alla Fesderan
Aurrolon[1].”
Per quell’uomo, però,
per quell’amore mai previsto era disposta ad abbandonare quella sicurezza,
quella comodità, quella certezza che solo la sua città natale poteva
trasmetterle.
“Alla
fine tutto si ripete. Gli dei ci pongono davanti alle stesse prove, nel tentativo
di capire se siamo ancora degni della loro benevolenza.”
Forse avrebbe dovuto
maledire la sua bellezza, avrebbe dovuto odiare quel corpo longilineo e sinuoso
che aveva fatto innamorare tanti uomini, che aveva portato tanti a chiedere il
suo giuramento.
“Madre,
sorella… avete anche voi sofferto un simile destino? La bellezza può essere
così pericolosa?”
«Mia signora, il sole
sta calando e suo padre voleva che il suo ritorno fosse ampiamente anticipato.»
«Capisco. Va bene.
Torniamo.»
Si
voltò e per un istante credetté che il vento, il sole o chissà quale misterioso
prodigio divino la stesse ingannando. Nel punto in cui la stradina tracciava
una stretta curva per costeggiare il promontorio in direzione della spiaggia e
di Menpher, un cavaliere dalla luminosa armatura[2] e
con un elmo dal pennacchio rosso avanzava senza essersi ancora girato nella
loro direzione. Il mantello annodato vicino alla gola da una spilla dorata era
nero, con due bande laterali rosse, e sopra vi era raffigurato un sole che,
dall’alto “illuminava” il resto del tessuto.
Quando finalmente
incrociarono lo sguardo, le fu finalmente possibile vedere quel sorriso e il
suo cuore si riempì di gioia. Desiderò saltargli al collo, abbracciarlo, ma
riuscì a contenersi. Notò solo quando il suo amato stava scendendo dalla sella
che aveva la spada sguainata. Le si avvicinò con il fodero in una mano e la
lama nell’altra.
«È una gioia poter
rivedere il tuo viso» furono le sue prime parole e, prima di aggiungere altro,
sollevò la spada, la ripose teatralmente nel fodero, si inginocchiò e la pose a
terra«Il Dio Sole ci ha assistito. Torno qui, accanto a te, con buone notizie:
la guerra è finita. Siamo in pace.»
“È
finita. Chissà se potrò rivedere il tuo volto, fratello.”
Avrebbe
voluto dire tante cose. Rivelargli la verità, raccontargli le sue paure,
l’ansia che l’aveva divorata, l’amore che non l’aveva abbandonata. Le fu
difficile, però, parlare. Non trovava le parole adatte, le sembrava tutto
ancora così surreale.
Fu lui a prendere
l’iniziativa: si avvicinò a lei, le prese una mano e sollevandola la strinse.
«Ci sarà il tempo per
le parole. Prima, però, ho deciso di affrontare quella questione. Perdonami se il mio gesto ti importunerà.»
Non ebbe il tempo di
fare domande e né di comprendere a cosa si riferisse. Il rumore di zoccoli li
raggiunse e la durezza di cui si era ammantato il viso dell’amato le aveva
fatto intuire abbastanza da non rimanere totalmente sorpresa quando vide
apparire a cavallo suo padre e quattro guardie armate.
«Audace e molto stupido
da parte tua far sapere in modo così plateale del tuo arrivo» esclamò Redna,
capofamiglia della Casata[3]
Cerbre[4],
mentre scendeva da cavallo, aiutato da una delle sue guardie.
“L’hai
fatto intenzionalmente? Perché?”
Avrebbe voluto
domandargli. Voleva sperare che non si fosse già giunti a un inutile quanto
inevitabile scontro. Quanto potevano essere maligni gli dei, se concedevano il
concludersi pacifico di una lunga guerra, ma non di un litigio?
[...]
Una guerra finisce e un altro scontro si apre. Su questo "cavaliere" che vuole unirsi alla sua "principessa" il fato sarà molto crudele. In ogni caso, questo racconto non sarà l'unico incentrato su questa figura del passato.
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A presto e stay tuned 😁.
[1] È la festività più importante
per la cittadinanza, in quanto festeggia la fondazione di Menpher: durante la
ricorrenza, vi sono canti e balli per le vie più importanti e grandi banchetti
offerti dalle famiglie più ricche della città. A sera, al culmine della festa,
al porto, vengono disposte due colonne di barche, legate tra di loro e al
centro una piccola imbarcazione a remi; su ogni barca vi è un singolo uomo con
una torcia, mentre sull’imbarcazione vi sono due ragazzi e una ragazza, il cui
compito sarà raccogliere con una tinozza l’acqua del mare e versarla sulla
testa degli altri due. Secondo la leggenda, infatti, Menpher fu fondata da
trentadue uomini, tuttavia i due fratelli che li guidavano furono sul punto di
uccidersi per attribuirsi la guida del nuovo borgo; fu la sorella,
frapponendosi ai due, a porre fine al litigio.
[2] Oltre alla corazza, formata da
un’unica placca, di un lucente color bianco e su cui vi era stilizzato la
figura di un uomo con una spada in mano, puntata verso l’alto, il cavaliere
indossava due gambali di cuoio, un cinturone che teneva stretto l’orlo
inferiore dell’armatura che proteggeva la zona pubica e infine, sotto la
corazza, una leggera tunica nera.
[3] Per quanto nella lingua
imperiale il termine possa cambiare da luogo a luogo, le famiglie mercantili di
un certo prestigio e di lunga discendenza possono comporre ufficiosamente una
Casata, rimanendo, però, comunque esclusa dalla nobiltà e dai titoli
aristocratici imperiali, terreno privilegiato di potere per le Dodici Famiglie
e per le Casate Cadette.
[4] “Croce”. Il riferimento del
termine è legato allo stemma e alla storia del capostipite della famiglia: una
croce aguzza e dal colore vermiglio; si narra che l’avo di Redna e Selein
riuscì ad avviare la sua attività, quella che poi rese ricchi e potenti mercanti
i suoi discendenti, grazie alla vendita di un “dono” che aveva ricevuto, una
croce aguzza dal materiale resistente e sconosciuto dall’uomo e che, se posto
controluce assumeva una tonalità vermiglia.