mercoledì 28 febbraio 2018

"Desideri", 2a Parte



«Comandante Atlem, io sono un Master Ingegnere e nella mia vita ho sempre cercato di costruire “qualcosa”, di rendermi utile. Giunto alla mia veneranda età, ho capito che, forse, ho solo buttato il mio tempo, che forse avrei dovuto fare scelte diverse. Io… io non ho nulla lì “fuori”. Tutto ciò che mi trattiene è la mia lealtà per l’Impero e l’Imperatore. Ho perso tutti coloro che amavo e non ho saputo nemmeno generare dei semi che potessero crescere. Non mi è rimasto niente. Sono venuto qui solo per capire come passare il tempo che mi rimane, come spendere quanto il Dio Sole ha deciso di lasciarmi.»


Lo disse rapidamente, con pochissime pause, gettando tutto ciò che pensava che non avrebbe mai confessato. Abbassò lo sguardo e strinse le mani in grembo. Non avrebbe voluto mostrarsi debole, ma, d’altronde, non aveva nulla da perdere e aveva la netta sensazione che quell’uomo fosse venuto perché aveva avuto un sentore, una vaga percezione.


«Quando mio padre perì» gli rispose Atlem, cogliendo l’attenzione di Tommer «mi dissero che in punto di morte pianse. Non lo aveva mai fatto, mai aveva rivelato o esternato le sue emozioni. Mai. Eppure, in quel momento, quando io ero distante, pianse. E lo fece per me, perché avrebbe voluto avermi accanto, darmi il suo ultimo saluto, onorarmi, gratificarmi come non aveva mai fatto.

Della mia famiglia rimango solo io: mia sorella[1] ha disconosciuto mio padre quando si sposò con un rampollo della Famiglia Darglass e credo che, nel profondo, odi anche me. Io sono come lei: non ho più nulla, combatto per l’onore, per la gloria dell’Impero; perché è ciò che mi è stato insegnato, perché è ciò che sono e che voglio essere.

Ho raccontato a pochissime persone questi fatti e sinceramente non ho nemmeno idea se sto facendo la cosa giusta, ma le sue parole… non sono nuove per me.»


Tommer osservò quell’uomo con compassione. Si alzò, prese da uno scaffale due scodelle e un boccale di legno, lo poggiò sul tavolo e, senza proferir parola, lo versò.


«Può farsi una breve e innocua bevuta insieme a me, Comandante?»


«Penso che due sorsi posso permettermeli.»


Fu una notte concitata, tra racconti, vicissitudini, storie di vita, di eventi, di persone, di luoghi, di guerra e di pace. Evitarono di ubriacarsi, ma fu con sorpresa, per entrambi, che in quell’incontro trovarono una persona con cui parlare senza troppi limiti.

Quando il cielo iniziò a schiarirsi, il Comandante Atlem cominciò a congedarsi.


«È stato un… piacevole quanto inusuale “colloquio”.»


«Anche per me, Comandante.»


Il Master cercò di accompagnare il soldato alla porta, ma quest’ultimo si voltò e con in volto un’espressione pensierosa gli domandò:«Lei sarebbe interessato a spendere il suo tempo qui in ricerche? Ovviamente in ambito militare.»


«Ricerche?»


«Esattamente. Le sembrerà strano, forse anche un po’ sospetto, ma ho sempre trovato molto interessante, nonché fondamentale, implementare sempre più a fondo la magia con le strategie militari. Sarebbe interessato ad aiutarmi a esplorare simili ambiti?»


«Mi coglie di sorpresa, Comandante Atlem. Per me… sarebbe intrigante. Mi domando, però: è possibile? Non è necessaria qualche autorizzazione?»


«Non particolarmente. Lei è un vecchio mago al fronte e le sue azioni credo che siano di ben poco interesse. Sarei io a richiedere i materiali e tutto ciò che le potrebbe occorrere, o comunque lo farebbe sotto la mia tutela. Inoltre, le concederei alcune stanze al piano terra della caserma che sono inutilizzate da tempo. Allora, le interessa?»


Fu titubante. Era venuto lì per meditare, per riflettere. Imbarcarsi in ricerche simili, non era il suo scopo. Davanti allo sguardo del Comandante, però, non seppe dire di no. Capiva che stava semplicemente cercando di dargli un modo per non soffermarsi troppo su pensieri nocivi, ma non era certo che quello fosse il miglior modo.


“Ohhh. Falla finita, Tommer. Almeno per oggi, almeno per un po’, basta piangersi addosso.”


«Credo che sarebbe molto interessante.»


Passarono dodici anni, lunghi e ricchi di tentativi, prove, ma ci vollero quei dodici anni per incontrare il ragazzo che avrebbe sconvolto nuovamente la sua vita e gli avrebbe fatto finalmente comprendere quale fosse il suo più grande desiderio.


“«È un piacere conoscerla. Io sono Master Etan e questo ragazzo è il mio apprendista, Amer.»

Amer si avvicinò velocemente e fece un breve inchino.

«È un piacere conoscere entrambi. Io sono Master Tommer. È una gioia poter avere due giovanotti come voi qui alla fortezza» disse il vecchio mago sorridendo.” [III – Battaglia a Mitt, “L’Impero di Luce”]


Spesso solo due anime solitarie possono comprendersi, perché entrambe hanno sofferto di un male che non cagiona il corpo, ma lo spirito. E contro certi mali non vi sono trattamenti o medicine adatte.
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A presto e stay tuned 😁😉.



[1] In realtà sarebbe sorellastra.

lunedì 26 febbraio 2018

L'ECONOMIA: LE TRIBÙ NOMADI DEL DESERTO

[TRIBÙ NOMADI DEL DESERTO]

Vivere nel deserto più vasto del Continente di Ethusa di certo non rende la vita semplice o piacevole. In un mondo in cui solo ristretti spazi, paradisi verdeggianti in un mare di sabbia, sono tutto ciò che separa la vita da una morte lenta e dolorosa, il concetto di economia e anche di società può perdere un po' di valore.
Sta di fatto, però, che i Nomadi, sfruttando le oasi e i pochi che vi abitavano, abbiano creato una propria organizzazione sociale, dividendosi in tribù, formando ceti sociali, specializzandosi in mestieri che sarebbero stati impensabili in un luogo simile. Basti pensare ai coltivatori, divenuti nel tempo veri e propri agricoltori con piccoli appezzamenti nelle oasi più grandi; oppure ai fabbri, che lavoravano le armi e le armature che era possibile trovare perdute nel deserto o che lavoravano i metalli proveniente da alcune grandi miniere nei Monti Wismar; oppure ai mercanti, che potevano vedere le proprie carovane venir depredate in qualunque momento o che potevano non trovare alcun acquirente per anni.
Al di là delle impervie difficoltà, i Nomadi sono riusciti a costruirsi una propria identità, facendola spesso coincidere con una velata e arbitraria volontà del dio Sadarac, e a raggiungere livelli di progresso e civiltà a stento credibili. Fiorenti villaggi, sperduti fari nel nulla, nacquero nelle oasi, potenti tribù cominciarono a farsi guerra tra loro in molti casi e in altri contro i popoli vicini.
Per comprendere, tuttavia, fino in fondo i Nomadi è importante considerare un fattore: la condivisione. Com'è noto, infatti, le Diciassette Tribù Nomadi, per garantire un certo "riposo" alle Ventitré Oasi, così da non esaurirne le risorse, compiono mensilmente una rotazione, una migrazione secondo un percorso prestabilito da secoli; tutto quello che non è trasportabile viene lasciato indietro e ci si dirige nell'oasi successiva con la sicurezza di trovare terreni già coltivati o pronti per la semina. Fin dai tempi antichi, infatti, per quanto possa aggravarsi le faide e le guerre tra le varie tribù, i Nomadi si sono sempre sentiti vincolati dal giuramento che gli impediva di provocare alcun danno alle oasi; non solo, ma, secondo i dettami della Tribù Sacra e dei suoi sacerdoti, chiunque ne avesse profanato l'armonia, avrebbe ricevuto il castigo di Sadarac e avrebbe costretto qualunque fedele a perseguire un'azione punitiva contro chiunque si fosse macchiato di tale crimine
I Nomadi, quindi, hanno vissuto e continuano a vivere come un qualsiasi altro popolo, seguendo, però, norme e precetti che solo loro possono appieno comprendere o mettere in atto. La loro economia è sempre subordinata alla loro sussistenza e sopravvivenza; non solo, ma i prodotti che vengono coltivati, fabbricati o commerciati variano a seconda delle oasi di riferimento, considerando più ci si dirige a ovest più vi ci possono trovare grosse differenze. In ogni caso, al di là di dove uno si trovi, la pratica della schiavitù e il suo traffico è quanto di più redditizio vi possa essere nel deserto.
È ovvio, certo e naturale che qualunque ricchezza personale è osteggiata e, in certi frangenti, combattuta; la collettività è ciò su cui, per secoli, si è basata la sopravvivenza dei Nomadi.


Al momento non ho trovato pertinente mostrare una mappa del deserto, tenendo conto del fatto che nessun evento della Trilogia si terrà in queste terre. Ci sarà tempo, però, in futuro di scoprire la vastità di queste lande.
Ovviamente, alcune disposizioni possono sembrare forzate o persino pericolose, come per esempio l'idea della rotazione che può far pensare che per un certo periodo culture, abitazioni e quant'altro  vengano abbandonati; in realtà, nel caso specifico la tribù che deve migrare attende l'arrivo della tribù che dovrebbe arrivare, mentre nelle oasi che non vedranno nell'immediato il loro arrivo il tutto viene lasciato nelle cure degli antichi abitanti delle oasi, con cui i Nomadi hanno stretto un patto ai tempi del loro esodo, e in generale vi sono precise regole da rispettare che, superando qualunque ambizione, congiura, concetto di supremazia, vengono rispettate per il semplice fatto che per secoli hanno permesso a molti di sopravvivere.
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venerdì 23 febbraio 2018

Kashar

Considerarlo un "personaggio" è già di per sé complicato. Anche il suo stato di divinità è un po' discutibile, tuttavia Kashar rappresenta un rimasuglio, un simbolo di antichi culti, scomparsi o assimilati dall'Impero. Quando era adorato dagli etiani, gli venivano offerti doni e sacrifici, anche umani in taluni casi.
L'esistenza di questa creatura ha sempre vissuto sotto un velo di mito e leggenda, sebbene dalla comunità magica la possibilità della presenza di simili mostri, o divinità, non ha mai meravigliato.
Non si sa cosa abbia fatto nei secoli passati, ma la sua comparsa vicino le coste imperiali non è un caso...

Nascita: ???
Età: ???
Dimensioni: 100 metri (lunghezza; senza considerare le teste e il collo), 68 metri (lunghezza; il doppio se si considera l'ampiezza delle ali).
Provenienza: ???
Aspetto: può essere comunemente associato a un drago marino; ha tre teste, la pelle liscia e senza scaglie e due ali che usa, però, per muoversi rapidamente sott'acqua; ha la capacità di comunicare e di usare linguaggi umani.
Appartenenza: /
Citazione: "«Non sapevo che i mostri marini sapessero parlare» ribatté con disprezzo il mago.
 
«Mostro marino? Che insolente. Io sono Kashar, il Signore degli Abissi, Divinità di tutte le creature marine.»
 
«E tu saresti una divinità? Ti spacci per qualcosa che non puoi essere, Demone.» 

[...]

«Non devi avere paura, piccolo umano. La tua morte sarà rapida e, forse, indolore.»" [VIII - Scontro nell'Oceano Blu, L'Impero di Luce]



Per quanto il suo ruolo possa sembrare limitato, Kashar può nascondere ancora qualcosa e, in verità, potrebbe persino essere l'unica che eviterà la morte di qualche personaggio, se così vorrà...
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mercoledì 21 febbraio 2018

"Desideri", 1a Parte



Assaporare quell’aria fredda, quell’atmosfera così magnetica, ultimamente era diventato un obbligo più che un passatempo: si sedeva vicino la finestra, sotto la pallida luce della luna e si metteva a osservare la roccaforte, poi la piana e infine, in lontananza, i Monti del Confine. Quello sfondo, quel paesaggio, sembrava urlare la sua forza, l’ignoto che cercava di celare a uno sguardo distratto.

Tommer era giunto solo da qualche mese alla Fortezza di Mitt ma non poteva che ritenersi soddisfatto. Per cinque anni aveva cercato un luogo dove riposare, dove fermarsi a riflettere, a capire cos’altro la vita poteva riservargli. Aveva perso la sua amata compagna, non aveva figli e le conoscenze che poteva definire amicizie erano distanti, alcune, forse, ormai recise.


“Quanto ancora potrò sfuggire? C’è davvero altro che mi attende in questa vita?”


Arrivare a cinquantacinque anni era già un traguardo, non aveva idea quanto lo fosse per un Master come lui, ma, comunque, tutto sembrava così futile davanti a una vita che lentamente raggiungeva l’arco conclusivo senza aver lasciato nessuna traccia concreta. Cosa rappresentava vivere, senza aver lasciato un segno, una prova del proprio passaggio, della propria esistenza? Quelle domande lo tormentavano spesso.

Sospirò e si concentrò sui banchi di nuvole che nascondevano le vette di quelle montagne che parevano toccare il cielo e le stelle, dimora degli dei.


“O magnificente madre,

o meravigliosa Natura,

perdona le mie colpe,

mostra il tuo splendore,

culla i nostri animi.”


Doveva averla letta o sentita su qualche tomo, ma non aveva idea di chi fosse l’autore. Ebbe, però, la netta sensazione che, chiunque l’avesse formulata o scritta, doveva aver avuto davanti uno spettacolo molto simile a quello che adesso lui poteva ammirare.


“Forse dovrei partire e basta. Attraversare i monti e sparire. Chi soffrirebbe per la mia perdita? Chi proverebbe rancore per la mia decisione?”


Fu un rumore, un lieve tocco a sorprenderlo, a prendere una decisione per conto suo. Inizialmente credette persino di esserselo immaginato, ma un secondo tocco lo convinse ad alzarsi, chiedendo al visitatore di presentarsi.


«Sono Atlem, Comandante della Fortezza di Mitt.»


Sorpreso, raggiunse rapidamente[1] la porta e la aprì, chinando il capo. Il guerriero imperiale entrò nell’appartamento, attese che Tommer richiudesse, poi chinò anch’egli il capo.


«Spero che questa tranquilla serata non vi stia annoiando, Master Tommer.»


«Tutt’altro, Comandante Atlem. Trovo piuttosto… suggestivo il paesaggio che è possibile ammirare da questa fortezza. Ma, comunque, non parliamo in piedi. Prego si sieda.»

Si misero intorno al piccolo tavolinetto posto centralmente nella stanza, alla luce di una lanterna appesa al soffitto.


«Cosa la porta a farmi visita, a quest’ora della notte?»


«In realtà, semplice curiosità. Sono passati a malapena cinque mesi dal vostro trasferimento, e da quello che ho saputo è stato su sua richiesta, e mi domandavo quali fossero i suoi interessi qui, al confine nord dell’Impero. Mi perdoni, se posso sembrare impudente o invasivo, ma è molto curioso il suo arrivo, considerando che negli ultimi anni i maghi spesso hanno cercato di evitare di farsi trasferire nelle roccaforti settentrionali.»


Rimase interdetto, incapace di formulare una risposta convincente, anche perché probabilmente nemmeno lui era certo di cosa effettivamente lo avesse spinto a richiedere una simile collocazione.


«Inoltre,» continuò Atlem, notando il silenzio del suo interlocutore «nell’ultimo periodo non vi sono stati grossi movimenti da parte dei Barbari, se non la scaramuccia di due giorni fa[2], in cui il suo intervento è stato indubbiamente utile ma non essenziale per la vittoria. Dunque, in tono totalmente confidenziale, mi dica perché si trova qui. C’è qualcosa che dovrei sapere?»


Poteva davvero fidarsi? Non aveva avuto molto tempo per conoscerlo, anzi in quei mesi aveva avuto solo sporadici incontri. Aveva sentito storie, dicerie, ma nulla su cui basarsi realmente.

Decise di ascoltare le sue sensazioni. Non poteva rifiutarsi di rispondere e qualcosa gli diceva che mentire sarebbe stato controproducente.
 
«Comandante Atlem, io...

[...] 




Questa Cronaca racconta una delle tante sottotrame che si snodano intorno alla Storia principale. Per quanto, infatti, Tommer non sia un personaggio principale, ho sempre voluto dargli più spazio rispetto a quello che ebbe nel romanzo, descrivendo soprattutto il suo particolare rapporto con il Comandante di Mitt, Atlem.
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[1] Al tempo, non aveva necessità di usare il bastone, anche se la sua schiena stava già assumendo quella forma incurvata e leggermente ingobbita che avrebbe avuto quando conobbe Amer ed Etan.


[2] Varie tribù minori hanno sempre cercato e cercano di migrare verso sud e di forzare i confini imperiali. La maggior parte di questi scontri non raggiungono nemmeno le mura delle Sei Fortezze.